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Immagine del redattoreLucio Brunelli

Il buon cibo e il mistero che fa vedere le cose

Aggiornamento: 17 feb

Amico del Papa e del re Carlo III, innamorato delle sue Langhe, ambientalista convinto, Carlo Petrini è un gastronomo molto speciale. Non ama gli "spadellamenti" in diretta e l'inflazione di chef in tv. Agnostico, viene da una famiglia di ortolani cattolici e ferrovieri comunisti. Ma se non hai gli occhi aperti sul mistero, dice il fondatore di Slow food citando Einstein, non vedi assolutamente nulla.



Quel giorno che Carlìn fece irruzione nel mio ufficio, a Tv2000, non sapevo granché di lui. A parte quello che sanno tutti, che aveva fondato Slow food, una rete per buongustai (così li immaginavo) nata alla fine degli anni Ottanta in opposizione alla americanissima moda del Fast food. Era il 29 gennaio 2015, entrò come un ciclone nella mia stanza affumicata facendo sbattere porte e finestre (le tenevo sempre aperte nella speranza di nascondere il mio antico vizio) e con la stessa impetuosità del vento iniziò a parlarmi di sé e del mondo, come se ci conoscessimo da sempre. Come spesso accade sono gli incontri non programmati quelli che riservano le migliori sorprese. E così è stato con Carlo Petrini. Gastronomo, ma ogni definizione, anche questa, gli sta stretta. Uno che sa dirti il nome di un vino dopo averlo assaporato ad occhi chiusi per pochi istanti. Però senza alcuna spocchia o snobismo radical chic. Solo per amore del cibo, della terra e di chi la coltiva. “Noi siamo vivi grazie al cibo. Io ho dedicato la vita a questo. Il cibo è energia per la vita. Il cibo è relazione. Questo è nella natura delle cose. Noi, quando nasciamo, non vediamo, non sentiamo, ma d'istinto, con le labbra cerchiamo il seno della mamma e lei ci dona il suo latte. Un atto di amore. Lo trovo di una forza incredibile”.

Sua madre faceva la maestra, ma veniva da una famiglia di ortolani, molto cattolici. Il padre, elettrauto, veniva da una famiglia di ferrovieri, comunisti; durante la seconda guerra mondiale finì in un campo di concentramento in Russia, riuscì a tornare in Italia solo nel '47: "mia madre lo pensava morto e già gli faceva dire le messe" ricorda Carlìn, che venne al mondo due anni dopo, nel '49.

Oggi Carlo Petrini è uno dei pochi individui al mondo che potrebbe vantarsi di essere amico di un Papa e del re d'Inghilterra. Con Bergoglio, discendente di immigrati piemontesi, è presto scattata la scintilla di una simpatia (reciproca) e un'intesa profonda sui temi dell'ambiente, il papa lo ha nominato tra gli esperti di fiducia al Sinodo sull'Amazzonia. Con Carlo III si frequentano da 18 anni, il principe di Galles è stato a trovarlo più volte in Italia e l'ha invitato anche nella sua tenuta, a parlare di agricoltura, biologico, custodia del creato.



Ma Carlìn (così lo chiamano gli amici) non se ne vanta, perché lui è rimasto sempre lo stesso, con i piedi ben piantati nelle Langhe piemontesi, la sua adorata Bra, dove è nato 73 anni fa e dove vive tuttora. Se si vanta, lo fa, giustamente, solo per quello che è riuscito a creare con le sue reti – da Slow food a Madre terra – estese oramai in tutto il pianeta. “Ho fatto dei prodotti agricoli e del patrimonio alimentare, un elemento di riscatto economico e di autorevolezza culturale. Una pera, una cipolla, sono diventati un prodotto identitario. Qualcosa che la gente sente propria con lo stesso orgoglio con cui sente propria un'opera d'arte, o un monumento del proprio territorio”.

Dopo quel nostro primo incontro non ci siamo persi più di vista. Nacque subito una bella collaborazione con il tg che dirigevo nella emittente cattolica. Ogni venerdì, nell’edizione delle 20.30, andava in onda una sua riflessione sui temi a lui più cari, le storture del sistema alimentare e la giustizia sociale. Gli avevo assegnato un tempo ristretto, un minuto o poco più, per costringerlo ad essere sintetico ed efficace. Lui si impegnava tantissimo per stare nei tempi, rifaceva più volte la registrazione video, non ha mai saltato un appuntamento, né chiesto un euro per la sua collaborazione. Oltre che per i contenuti, sempre interessanti, mi piaceva l’idea che un non credente sui generis come Petrini potesse esprimersi su una tv conosciuta soprattutto per i rosari da Lourdes e con un pubblico molto anziano. Il mio intento era proprio quello di rendere questa emittente interessante oltre la cerchia dei soliti affezionati.

Quanto all’agnosticismo di Carlìn ci sarebbe molto da dire. Ne abbiamo parlato alcune volte, con libertà e delicatezza. Papa Francesco in una lettera inviatagli il 4 febbraio 2015 lo fece commuovere perché gli assicurava le sue preghiere, chiedendogli in cambio che lo ricordasse “nelle sue buone intenzioni”. Un modo di rispettare le sue convinzioni (“la fede è un dono”) e di valorizzare il desiderio di bene che muove tante sue realizzazioni. “Ma lo sai, Lucio - mi disse Carlìn - adesso ogni volta che ho un pensiero buono non faccio a meno di pensare a lui, a Francesco”.



Petrini ha fatto sorridere il Papa raccontandogli della sua cattolicissima nonna, Caterina, e di suo nonno Carlo (da cui ha preso il nome): un macchinista ferroviere, ateo, fondatore nel 1921 del locale partito comunista: la nonna, pur condividendo gli ideali politici del marito, era abituata a confessarsi e fare la comunione tutte le domeniche ma nel 1949, dopo la scomunica ai comunisti decisa dal Sant’Uffizio, il prete le spiegò che non poteva più darle l’assoluzione se non avesse ripudiato gli ideali del marito, almeno quando si recava alle urne… La nonna, ormai vedova ma legatissima alla memoria dell’amato consorte, rimase in silenzio; poi con fierezza ma senza astio rispose: “ah, non può darmela? Allora… se la tenga!”. Aspettando tempi migliori, andava a confessare i suoi peccati direttamente al Signore, davanti al Crocifisso, in chiesa, e poi prendeva la comunione in un altro paese, “confidando nella misericordia del buon Dio”.

Carlìn, sulle orme di suo nonno, da giovane è stato militante della sinistra extraparlamentare e consigliere comunale a Bra con il partito di Democrazia proletaria. Però gli è rimasto qualcosa, anzi molto, anche della impronta della nonna. Uno dei suoi amici più cari è Domenico Pompili, già vescovo di Rieti, con il quale ha fondato le comunità “Laudato sì” e sostenuto progetti esemplari per la rinascita di Amatrice, ferita dal terremoto.



L’enciclica del Papa sulla cura del creato lo ha galvanizzato. Ne è stato uno dei più convinti e appassionati divulgatori. “Non è una enciclica verde, come banalmente i media l’hanno presentata, è un’enciclica sociale perché lega in modo documentato la questione ambientale e le diseguaglianze sociali”.

Dalle sue “pillole” su Tv2000 traggo alcuni dei pensieri che più mi hanno impressionato. Non avevo sentito mai nessuno spiegare in modo così efficace e suggestivo, ad esempio, un termine in realtà oggi molto abusato come sostenibilità: “Deriva da sustain, termine inglese: nel linguaggio musicale è il pedale del pianoforte che allunga il suono di una nota: a significare che è sostenibile ciò che è durevole…” La logica produttiva, dettata solo dalla ricerca spasmodica del profitto, spinge invece l’attuale sistema alimentare a stressare sempre di più la terra, a violentare sempre più il suo grembo… “E il risultato finale sai qual è? Mai nella storia dell’umanità abbiamo avuto uno spreco alimentare di simili proporzioni, bibliche! Stiamo parlando di milioni e milioni di tonnellate di cibo: addirittura il 40 per cento della produzione alimentare lo buttiamo via! Non c’è senso etico in tutto questo… e ci troviamo con un miliardo e 600milioni di persone nel mondo che soffrono di ipernutrizione, quindi mangiano male tutto sommato, con malattie endemiche come l’obesità, il diabete in crescita esponenziale, malattie cardiovascolari”.

Spreco alimentare e ipernutrizione, da un lato. Morte per fame dall’altro. Le contraddizioni del nostro pianeta di fronte alle quali il buon Carlìn non riesce proprio a rassegnarsi. Temi ormai assenti nel dibattito politico. “Dice la Fao che sarebbe sufficiente un investimento di 35 miliardi di dollari all’anno per risolvere il problema della morte per fame nel mondo, ma l’intera governance mondiale non riesce a metterli insieme… Eppure, si spendono ogni anno 1800 miliardi dollari in armamenti, e la cifra sta crescendo vertiginosamente con la guerra in Ucraina”. Altra questione che fa insorgere Petrini è la plastificazione abnorme della nostra civiltà. Nella sua rubrica settimanale, una volta, si è presentato con una carta di credito in mano. “Ne mangiamo una a settimana, lo sapevate?”.



Uno studio della Università di Sidney ha stimato, in effetti, che ogni settimana ingeriamo mediamente una quantità di microplastica (contenuta negli alimenti, anche nel pesce!) equivalente a una carta di credito. Carlìn non è un fondamentalista e non vuol riportare la terra all’età del ferro. Solleva però questioni serie, che sarebbe da struzzi non voler vedere. Racconta: “La plastica è un materiale che ha più o meno la mia età, tant’è che quando ero bambino ho fatto ancora il bagno nelle tinozze di ferro. Quando è arrivata è stata una benedizione, ma allora la si usava per beni di consumo durevoli. Oggi invece più della metà della plastica è usa e getta: pensiamo alle cannucce, a milioni solo in Italia, durano dieci secondi e poi vanno a finire nella spazzatura, non riciclabili perché non sono considerati imballaggi. Il dramma è questo: la plastica è entrata nella catena alimentare…”.

Petrini pensa che il primo modo di lottare contro l’autodistruzione del pianeta sia adottare stili di vita diversi. Assumere impegni concreti sia a livello individuale sia in piccoli gruppi. Come rinunciare, nel proprio piccolo, all’utilizzo della plastica monouso. O dare la preferenza, negli acquisti, a prodotti del territorio che non necessitano di lunghe percorrenze.  Poi, certo, la lotta va portata a tutti i livelli, politica domestica e politica internazionale, ma intanto si può cominciare col cambiare la propria vita, in quello che è possibile, già nel quotidiano. Si dice ottimista perché vede molta sensibilità nei giovani (io lo sono molto meno di lui, ottimista, ma a differenza di me lui agisce e non si limita a guardare).

Una delle sue creature, forse quella a cui è più affezionato, è l’Università di scienze gastronomiche che ha sede a Pollenzo, a un tiro di schioppo dalla sua Bra. L’ha fondata nel 2004. Mi ha invitato a visitarla e ci sono andato. E’ un unicum nel panorama universitario: un punto di riferimento internazionale per chi ha a cuore lo sviluppo sostenibile della filiera alimentare. Riconosciuta dallo stato è frequentata da centinaia di studenti, sia italiani sia stranieri. L’università è alloggiata in un monumento storico, una vasta tenuta reale, Albertina, edificata nel 1835 sui resti dell’antica Pollentia romana, dove il generale romano Stilicone sconfisse le orde dei Visigoti guidate da Alarico. Mi sono rimaste in testa tante cose. La visita al museo del vino è stata, come dire, inebriante: bottiglie provenienti da ogni angolo della penisola e di ogni vigna è esposta anche una piccola zolla della terra in cui affonda le radici. Capisci meglio, camminando lì dentro, cosa è la memoria di un paese, quanto sudore, quanto sapere e quanta passione c’è dietro il “vino dei nostri bei colli” come si cantava una volta nelle chiese. Ma la cosa che mi ha colpito più di tutto è l’amorevolezza di Carlìn con i ragazzi che studiano a Pollenzo.



Lui non ha figli, non si è mai sposato, ha sempre vissuto con la sorella dopo la morte dei genitori. Questi ragazzi sono come figli, per lui. Li conosce uno ad uno, li invita a cena a casa sua, gli insegna mille cose sull’arte del cibo “buono, pulito e giusto” come recita il motto di Slow food. Li educa, anche, li responsabilizza. Non perde i contatti con loro, anche dopo la laurea: cinquemila ex alunni di cento diverse nazioni.

Carlìn dice che il gusto alimentare, ma io credo che valga anche per il gusto della vita tout court, è una sintesi tra piacere e conoscenza. “Solo piacere è un po’ crapula... solo conoscenza è noioso”. Per questo motivo, aggiunge: “Un gastronomo che non è ambientalista è stupido e un ambientalista che non è gastronomo è triste”.

Strano questo nostro tempo in cui la terra è esposta a mille minacce e spesso nemmeno sappiamo cosa veramente mangiamo, eppure i programmi di cucina inflazionano i palinsesti delle tv. Non dovrebbe rallegrarsi, un gastronomo, di questo tripudio di fornelli, ricette e cuochi stellati nel piccolo schermo? “Ma no, questa è pornografia alimentare!" protesta Carlìn "Tutto questo spadellamento in diretta... e gli chef che nei talent sono elevati a maestri di vita, no, tutto questo non mi entusiasma per nulla. Quelli di MasterChef li conosco, era tutta gente per bene…”.

La ben studiata vendita del “prodotto locale” ha portato anche proficui vantaggi economici a imprenditori amici come Oscar Farinetti e alla fortunata catena di Eataly. Ma Petrini non si è mai lasciato abbagliare dalle sirene del successo commerciale e ognuno ha preso la sua strada. Di Carlìn anche gli amici possono non condividere alcune idee ma chi lo conosce bene non ha mai dubitato della sua autenticità: non è uomo che anteponga i soldi alla sua passione.

Dicevamo all’inizio che si professa agnostico. Con tono semiserio Bergoglio lo definisce “un agnostico pio”. A motivo della sincera pietas che Francesco sente in lui verso il creato e le sue creature. Petrini è forse l’unico leader agnostico, vivente, citato da un Papa ad un angelus domenicale (è accaduto il 13 settembre 2020 sotto forma di un saluto pubblico alle comunità “Laudato sì” ricevute il giorno prima in Vaticano: “Grazie per quello che fate; e grazie per l’incontro di ieri qui, con Carlìn Petrini e tutti i dirigenti che vanno avanti in questa lotta per la custodia del creato”). Di fatto Carlìn mostra un'attenzione privilegiata verso le pluriformi espressioni del cattolicesimo e non disdegna nemmeno le platee cielline del Meeting di Rimini dove lo ha invitato Giorgio Vittadini. Non riesco a spiegare questa attenzione al mondo dei credenti solo con un senso di orfanezza lasciato dalla scomparsa del marxismo. In chi altro, se non nei papi e nel magistero sociale della Chiesa, un tipo umano come lui potrebbe trovare oggi consonanza ideale sui grandi temi della cura della “casa comune” e della lotta per la giustizia sociale? Eppure, la politica non basta. C’è stato un momento, in particolare, in cui ho sentito una vicinanza profonda con lui.


E’ stato il giorno dei funerali di Dario Fo, il 15 ottobre 2016. Funerali laicissimi, celebrati in piazza del Duomo a Milano, sotto una pioggia battente. Carlìn e Dario Fo erano stati grandi amici, si conoscevano da 50 anni, tante battaglie insieme. Petrini era stato a trovarlo in ospedale un paio di giorni prima. Il premio Nobel per la letteratura predispose ogni dettaglio per il suo funerale e affidò all’amico il compito di tenere il discorso finale. Lo seguii in diretta sul sito del Corriere. Mi colpirono le ultime parole: “Oggi allegri bisogna stare che il troppo piangere non fa per noi, allegri bisogna stare perché il troppo piangere non rende onore ai nostri amici, allegri bisogna stare perché celebriamo la vita, il grande mistero della vita e della morte, l'unico grande Mistero Buffo della nostra precaria esistenza”. Gli scrissi a caldo un sms, per dirgli che m’aveva emozionato quel suo riferimento al grande mistero della vita e della morte, durante un rito così laico. Lo immaginavo presissimo, con tutte quelle personalità che avevano seguito il funerale in piazza. Mi chiamò invece al telefono, pochi minuti dopo, per dirmi che quelle parole esprimevano il cuore vero del suo discorso.

In un’altra occasione l’ho sentito citare un pensiero di Albert Einstein, che dice ancora meglio il sentimento di quella vicinanza: “l’uomo che non ha gli occhi aperti al mistero, passerà attraverso la vita senza vedere assolutamente nulla”. Grande Carlìn, quante cose belle hanno visto, vedono e vedranno i tuoi occhi spalancati sul mistero della vita.



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