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Immagine del redattoreLucio Brunelli

La Pompei dimenticata del Medioevo

Aggiornamento: 14 ott

La storia dell'abbazia di san Vincenzo al Volturno, nell'attuale Molise, è più avvincente di un romanzo di Ken Follet. Popolata da oltre 300 monaci era diventata una vera città, con officine che lavoravano il vetro, terreni agricoli, palazzi e chiese adornate di magnifici affreschi.

Il 10 ottobre 881 una banda di saraceni, istigata dal vescovo-duca di Napoli (che mal sopportava la crescente influenza dei monaci) assaltò l'abbazia seminando morte e distruzione. Solo in tempi recenti, dopo secoli di abbandono e dimenticanza, i resti dell'insediamento monastico sono tornati alla luce. Offrendoci l'opportunità, unica, di "vedere" com'era la vita quotidiana di un monastero nell'Europa che Carlo Magno cercava di unificare. Ecco l'articolo che ho scritto per l'Osservatore romano (5 ottobre 2024).



La Pompei del Medioevo dormiva sepolta in un campo di grano vicino alle sorgenti del Volturno. Qui, in una delle valli più remote del Molise, era sorta nell'ottavo secolo dopo Cristo un'abbazia benedettina dedicata a San Vincenzo di Saragozza, diacono e martire di epoca romana. In breve tempo, grazie al sostegno di Carlo Magno e dei primi re carolingi, l'abbazia divenne una vera e propria città monastica, popolata nel periodo di massima fioritura da oltre trecento monaci, con vasti terreni agricoli, officine di lavoro, edifici e chiese ornate di vetrate e affreschi di pregio. Nel IX secolo insieme con Farfa e Montecassino era considerata una delle più importanti abbazie benedettine in Europa. Ma per il monastero di san Vincenzo al Volturno il destino prevedeva un altro epilogo, drammatico: il 10 ottobre dell’anno 881 una banda di Saraceni, con la complicità politica del vescovo-duca di Napoli, Attanasio II, portò morte e distruzione fra le sue mura; le acque limpide del Volturno rosseggiarono del sangue dei monaci. Nell’ XI secolo una nuova abbazia di San Vincenzo sorse sulla sponda opposta del torrente e dell’antico insediamento monastico col tempo si perse ogni traccia. Dieci secoli dopo il saccheggio, nel 1832, casualmente, grazie ad un contadino che arava la terra, venne alla luce la suggestiva cripta dell’abate Epifanio, con affreschi magnifici del IX secolo. Ma la maggior parte dell’antico complesso monastico continuava a dimorare sottoterra, lì accanto.


Solo nel 1980 i resti della primitiva abbazia furono scoperti, grazie alla curiosità di un colto monaco di Montecassino, padre Angelo Pantoni, e alla tenacia di un giovane archeologo inglese, Richard Hodges.  “Fu emozionante - racconta oggi Hodges - veder riaffiorare pian piano tutte le strutture dell’abbazia imperiale… il palazzo dell’abate, il dormitorio, il refettorio, le officine, la chiesa maggiore… proprio nel punto in cui una memoria orale, custodita fra la gente del luogo, ci aveva indicato di scavare”. Guida preziosa per i ricercatori è stato un manoscritto compilato dal monaco Giovanni nel XII secolo, il Chronicon vulturnense, conservato nella Biblioteca apostolica vaticana. Il codice miniato racconta l’intera epopea dell’abbazia fino all’assalto cruento dei saraceni. “Abbiamo ritrovato le punte delle frecce incendiarie scagliate dai mercenari arabi”, ci dice Hodges “e così abbiamo potuto ricostruire anche la dinamica e gli obiettivi del saccheggio”. L’archeologo inglese ha condensato i risultati di scavi e studi decennali in un libro pubblicato lo scorso anno, La Pompei del Medioevo (Carrocci editore). “Era stato padre Angelo Pantoni a coniare per primo questa espressione, Pompei medievale, - spiega Hodges - ma è un’espressione giusta, il sito archeologico ci permette infatti un’immersione nella vita quotidiana di una città monastica, com’era nel VIII e IX secolo al tempo della rinascita carolingia, e questo perché il tempo qui si è fermato, per un evento improvviso e traumatico, come a Pompei”. I ricercatori sono stati in grado di ricostruire persino cosa hanno mangiato i monaci nell’ultima cena, prima del saccheggio. “Negli scarichi delle cucine abbiamo trovato numerose vertebre di pesce - racconta Simona Carracillo, una delle prime a partecipare alla ricerca archeologica - pesci di fiume, come trote e barbi pescati nel vicino Volturno, ma anche pesci di mare come spigole e cefali, provenienti probabilmente dall’Adriatico”.

Il sito archeologico dell’abbazia di san Vincenzo al Volturno è oggi aperto al pubblico, con accessi differenziati alla cripta di Epifanio e ai resti dell’antico monastero. Purtroppo il flusso dei visitatori non è quello che meriterebbe questo luogo. Colpa forse della “sperdutezza” geografica del Molise ma anche di una certa ignavia delle istituzioni preposte, che negli scorsi decenni non sono riuscite a valorizzare i tesori che venivano alla luce. Sconcertante la vicenda del museo comunale di Castel san Vincenzo, che avrebbe dovuto ospitare, restaurare ed esporre i reperti più importanti rinvenuti durante gli scavi, tra cui manufatti preziosi prodotti nelle officine dell’abbazia e soprattutto una mole impressionante di frammenti di affreschi. La struttura (spaziosa, con un design avveniristico e affaccio sullo stupendo lago di san Vincenzo) è stata completata alcuni anni fa ma il museo, causa esaurimento fondi, non ha mai aperto i battenti al pubblico e oggi versa in condizioni penose. Muffa sui pavimenti, crollo di un controsoffitto...


“Una storia triste” sospira Richard Hodges, oggi non più giovane ma ancora innamorato di questi luoghi. Amarezze condivise dalle monache di clausura che dal 2017 hanno riportato una effervescenza di vita e di spiritualità benedettina nella nuova abbazia di san Vincenzo ricostruita due secoli dopo l’assalto saraceno sull’altra sponda del Volturno. Negli ultimi mesi però qualcosa si sta muovendo e fra coloro che hanno a cuore le sorti del sito si sta facendo strada un po’ più di ottimismo. Il nuovo direttore dei musei regionali del Molise, Enrico Rinaldi, nominato due anni fa, non ha perso tempo. Fra i primi provvedimenti il salvataggio dei dipinti che affrescavano gli edifici dell’abbazia imperiale, con scene della bibbia e del nuovo testamento. “Considerate le condizioni degradate del museo di Castel San Vincenzo”, ci dice Rinaldi “abbiamo deciso il loro trasferimento d’urgenza nei depositi più sicuri del museo archeologico di Venafro, nell’ex convento di santa Chiara, dove c’è già un’ala espositiva dedicata al complesso di san Vincenzo al Volturno”. Un’operazione impegnativa: sono 700mila i frammenti ritrovati, custoditi in oltre duemila cassette.  Il progetto a cui sta lavorando Rinaldi prevede la costituzione di un pool di esperti in grado dirigere il lavoro di pulitura, restauro e ricomposizione degli affreschi. “Potenzialmente - spiega Rinaldi - c’è la possibilità di dare vita alla più vasta pinacoteca europea di dipinti dell’alto Medioevo”. Il dinamismo del nuovo direttore dei Musei del Molise sta attirando nuovi fondi. In parte saranno utilizzati anche per migliorare la tutela e la fruibilità del sito archeologico. “Deve essere accessibile e godibile per tutti, non solo  per gli addetti ai lavori” s’impegna il direttore Rinaldi che ha già attivato le procedure “per riscoprire dopo venti anni gli straordinari pavimenti laterizi del refettorio, realizzati e siglati dagli stessi monaci benedettini”.

La ricerca archeologica, gli studi e i lavori di restauro presso il sito dell'antica abbazia stanno continuando. Dopo la pubblicazione di questo articolo su L'Osservatore romano abbiamo ricevuto dal professore Federico Marazzi, attuale responsabile degli scavi, un contributo che fa il punto sulle istituzioni scientifiche coinvolte e sui risultati di questo prezioso lavoro. Lo pubblichiamo a doveroso completamento di quanto raccontato.


San Vincenzo al Volturno, oltre che essere un eccezionale sito archeologico, oggi è anche – e più che mai – un cantiere di ricerca a cielo aperto.

Sono attualmente all’opera, nel quadro di una prospettiva di collaborazione scientifica, ben sei università, alle quali si aggiunge l’Istituto di Studi sul Patrimonio Culturale del CNR.

L’istituzione capofila è l’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, che da oltre un quarto di secolo conduce la ricerca archeologica sotto la guida del prof. Federico Marazzi che, a sua volta, lavora a San Vincenzo sin dal lontano 1984, costituendo quindi la memoria storica di tutte le fasi entro cui si è articolata l’indagine del monastero molisano.

Attualmente, il Suor Orsola dirige gli scavi su concessione del Ministero della Cultura, indagando diversi settori del complesso monastico, dal grande chiostro di età carolingia – uno spazio di eccezionale monumentalità che descrive la grandiosità del monastero a quel tempo – al piccolo chiostro edificato accanto alla basilica maggiore intorno al Mille, quando i monaci ricostruirono in parte il monastero distrutto dai Saraceni nell’ottobre dell’anno 881.

In quest’opera l’università napoletana è coadiuvata da quelle di Bologna e Urbino, con cui condivide anche programmi di training sul campo dei futuri archeologi, mentre il CNR conduce nell’area ricognizioni da drone che stanno fornendo informazioni assai estese e dettagliate sui resti ancora sepolti, tanto spettacolari quanto fondamentali per l’azione di tutela e valorizzazione del sito affidata alla Direzione Regionale Musei del Molise per la sua zona centrale, e alla Soprintendenza del Molise per le aree esterne all’area recintata e visitabile.

Nel frattempo, un meticoloso lavoro di ricerca negli Archivi dell’Abbazia di Montecassino sta restituendo vita alla storia di San Vincenzo al Volturno fra XVI e XIX secolo, ricostruendone il paesaggio, la vita sociale ed economica.

Ma altrettanto entusiasmante è il lavoro che il Suor Orsola conduce presso il Museo Archeologico di Venafro, insieme alle Università di Roma Tre e di Macerata, per ricostruire, con innovative soluzioni di intelligenza artificiale, le decorazioni pittoriche della basilica maggiore, recuperate allo stato di frammenti durante le campagne di scavo succedutesi nel corso degli anni. Volti e segni di mille anni fa tornano a ricomporsi sotto gli occhi dei ricercatori per arricchire in futuro l’esposizione permanente del Museo stesso, nella prospettiva auspicata dalla Direzione Regionale dei Musei molisani.


Con il supporto logistico del Comune di Castel San Vincenzo, che generosamente ospita i ricercatori e gli studenti, e in una stretta collaborazione con il Ministero della Cultura, la ricerca archeologica a San Vincenzo al Volturno progredisce, operando all’interno dei prestigiosi progetti “CHANGES – Cultural Heritage Active Innovation for Next-Gen Sustainable Society” e PRIN-PNRR 2022, che uniscono decine di enti universitari italiani ed europei.

 

 

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